DEGLI IMPRINTING - Sintesi prof. Antonino Saggio



IMPRINTING

-Frammentario- -Omogeneo- -Antico- -Nuovo- -Stratificato- -Movimento-

“L'imprinting non è un comportamento innato ma neppure una forma di apprendimento possibile durante tutto l'arco della vita: esso ha caratteristiche intermedie, poiché rimane legato sia alle informazioni che il nuovo nato riceve dal mondo esterno sia alla predisposizione genetica.”

Come questa definizione può sembrare complessa e sotto alcuni aspetti non di facile lettura così anche la ricerca di quel qualcosa, non ben chiaro e forse non ben ricordato, che rappresentasse il mio imprinting è stata complessa e ardua. Non posso affermare con cieca sicurezza che ciò che ho individuato possa essere considerato il primo tassello su cui la mia personalità sia cresciuta. In effetti, probabilmente quel primo mattone è perduto nei meandri della mia memoria, ma la sensazione che mi provoca anche solo il guardare una fotografia di quel luogo è talmente forte da renderlo soggetto di questo breve saggio. Quel luogo è il sito di Alba Fucens.

Sono nato in una piccola città dell’Abruzzo circondata dalle montagne e spazi incontaminati. Molto spesso nei fine settimana si andava a fare scampagnate nei luoghi più disparati, ma Alba Fucens è stato uno dei primi luoghi che ricordo e in cui sia tornato così tante volte. È accaduto spesso che ci andassi anche solo per passeggiare; mi ha sempre trasmesso una grande sensazione di quiete e tranquillità.  

Uno dei primi ricordi che riemerge in questo luogo riguardano mio nonno. Mi ricordo come camminavo da piccolo con lui per gli antichi resti della città romana e come mi raccontava la storia di questi nostri vecchi antenati e di come nel tempo la città si fosse mossa, come un lento e pesante organismo, prima dalla conca romana alla rocca medievale e infine come il moderno paese si sia assestato sul crinale della collina. Guardando queste tracce coperte dalla patina del tempo mi diceva sempre come il passare dei secoli richieda sempre il mutamente e che anche cose come le città, che all’apparenza sembrano inamovibili, pagano questo pegno, a volte in modo chiaro e a volte più celato. Inoltre, nel leggere il susseguirsi di elementi umani e naturale, moderni e antichi non vi faceva distinzione: il bello risiedeva nell’insieme organico di tutti loro, che essi fossero artefatti o meno. E’ con l’occhio di chi non vuole riconoscere due bellezze, una naturale e una artificiale, che guardo questo luogo, di chi vi vede una sola bellezza.

E’ difficile spiegare le emozioni e i pensieri che mi attraversano mentre mi aggiro per i ruderi. Nella mia mente si susseguono disegni che prendono vita dalle inerti pietre e che delineano i vecchi edifici, i vecchi abitanti e gli spazi che la terra per diversi secoli ha conservato. Qualche volta, nel passeggiare sui sentieri superiori mi capita, guardando la conca, di immaginare il prossimo passo che il piccolo paese compirà nel suo cammino. In un’ottica per lo più dilettevole mi perdo nel posizionare in questo panorama i più diversi elementi della modernità e, a volte, anche della fantascienza, immaginando quale potrà essere il prossimo tassello di questo mosaico. Questo con la consapevolezza che ciò che vedo non è una fotografia o un dipinto ma è solo una contingenza che, volendolo o meno, muterà.


E’ interessante notare come il fascino di questo luogo sia frutto, a mio parere, non solo dalla relazione del paesaggio verdeggiante con i manufatti, ma, bensì, dall’elemento della rovina. Non “rovina” letta nell’ottica sublimista del Piranesi ma dal punto di vista dell’artefatto “naturalizzato” che il lento logorio ha reso simile, visivamente, alle propaggini rocciose delle montagne retrostanti. Questa fusione così forte è stata possibile grazie alle regole del caso e del tempo, ma offre comunque una forte ispirazione e sprone nel ricercare di ricrearla, a comprendere come imitare l’evolversi naturale e poterlo sfruttare per ricreare spazi dove le dicotomie vengono superate e la coesione inscindibile renda persino impossibile concepire l’ente antropico separato da quello naturale. Ovviamente, tale fine risulta tremendamente arrogante, poiché per quanto possa essere accurata un’idea non potrà mai dare quello che i millenni hanno prodotto, ma, nel piccolo, si possono posare dei semi e tracciare binari su cui il tempo potrà poi svolgere il suo lavoro.

Non credo sia il luogo in sé a rappresentare il vero imprinting, probabilmente esso è una teca in cui è costudito quest’ultimo, che risulta essere immateriale, teorico, forse solo un punto di vista; ma comunque guardando da quella collina, ogni volta ripercorro ciò che sto raccontando e si chiarifica anche la strada che ho deciso di intraprendere. Se questo pensiero lo dovessi tramutare in parole, probabilmente, si potrebbe esprimere con “studiare il passato, guardare il presente, pensare il futuro”. Una frase forse anche eccessivamente didascalica, ma che comunque punta un concetto forse più chiaro o comunque più intellegibile. Un concetto che mi è stato dato da persone e luoghi lungo tutta la mia vita e che, seppur in continua evoluzione, ha le sue radici in quelle camminate fatte tanti anni fa, in cui per la prima volta ho guardato quegli spazi e mi venivano raccontate quelle storie.  Per quanti luoghi similare possa visitare, questo resterà sempre il primo, il momento in cui ho iniziato a guardare le persone, gli spazi e il tempo e le profonde relazioni tra loro. 


 

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